“Ebrei a Tricase porto (1945-1947)”
Il nuovo libro del Prof. Ercole Morciano
L'articolo di Vito Antonio Leuzzi, qui di seguito riprodotto, è stato pubblicato dalla "Gazzetta del Mezzogiorno" il 09/01/2010, con il titolo: "Albania, l’islam salvò gli ebrei".
Questo articolo presenta il nuovo libro del Prof. Morciano.
Le
drammatiche vicende degli ebrei salvati in Albania, mentre imperversava la
persecuzione ed il terrore nazista nei Balcani e in tutto il continente europeo,
fu un evento unico ed ebbe il suo epilogo in Puglia. Subito dopo l’annuncio
della resa tedesca tra la primavera e l’estate 1945, sulla base di accordi
intercorsi tra alleati, governo italiano e quello albanese, centinaia di ebrei,
assieme a civili e militari italiani partirono da Durazzo e sbarcarono a Bari,
per essere sistemati, poi, in uno dei campi profughi gestiti dagli alleati nel
Salento.
Il loro arrivo e la permanenza nel «Camp n. 39», assieme ad altri ebrei
sopravvissuti ai campi di sterminio, è ben ricostruita in un recente libro di
Ercole Morciano, Ebrei a Tricase porto (1945-1947) (Edizioni Grifo, pp. 304,
euro 14,00).
Cosa avvenne all’indomani della conclusione della guerra? In base agli accordi
stipulati dall’Italia libera con Enver Hoxha, assurto al comando dell’Albania
nel corso della resistenza, fu inviato in Albania Mario Palermo, sottosegretario
alla Guerra del governo del CNL. La missione speciale consentì l’avvio del
rimpatrio di una parte degli italiani civili e militari, bloccati da Tirana. In
questo contesto si autorizzò anche il trasferimento in Puglia degli ebrei
rifugiatisi in Albania durante le persecuzioni naziste. In Puglia gli Alleati
avevano installato diversi campi di accoglienza per i profughi di tutta l’area
balcanica.
La sistemazione degli ebrei provenienti dall’Albania avvenne soprattutto a
Tricase (Lecce), ma per tutti gli altri sopravvissuti furono utilizzate diverse
aeree della costa meridionale salentina, da Santa Cesarea a Santa Maria di Leuca
e Santa Maria al Bagno presso Nardò.
Queste vicende di Tricase vengono attentamente analizzate da Morciano sulla base
di documenti e soprattutto di diverse testimonianze dei suoi concittadini. Le
origini del campo «39 di Marina Porto di Tricase» risalgono ai primi mesi del
1944 per sistemare migliaia di civili e partigiani slavi, serbi e croati, che
trovarono protezione nella nostra regione, sin dal 1943, per sottrarsi ai
rastrellamenti degli uomini di Hitler sull’altra sponda dell’Adriatico.
Tutte le ville e le abitazioni attorno all’area portuale di Tricase appartenenti
a note famiglie di professionisti e di possidenti salentini furono requisite
dagli Alleati. Il ricordo della presenza slava e dei timori nei tricasini per i
comportamenti prepotenti dei serbi affiora in alcune testimonianze che
evidenziano anche le differenze comportamentali di donne e uomini: «queste
cuoche erano slave, bravissima gente. I maschi invece no. Ci fu un periodo,
prima che venissero gli ebrei, in cui vennero gli slavi e alle dieci c’era il
coprifuoco e circolavano i loro poliziotti, la ronda con i loro manganelli e se
incontravano qualcuno... I più cattivi sono stati gli slavi».
Il ricordo degli ebrei è positivo senza riserve, anche per le diverse
manifestazioni di solidarietà e di scambio di generi alimentari dell’UNRRA che
gestiva i soccorsi a profughi e rifugiati.
Morciano raccoglie una significativa testimonianza di Golda Blanaru, una ebrea
rumena che visse l’esperienza diretta del «Camp nr. 39», stabilendosi
definitivamente nella città salentina, dopo aver contratto matrimonio con
Ferdinando Pompeo Sparisci. Egli recupera, inoltre diversi documenti sulla
felice permanenza a Tricase dei nuclei familiari ebraici, in particolare le
annotazioni del registro personale di una maestra relative ad una bambina,
Geltrude Krausz, di origine tedesca e proveniente dall’Albania, che frequentò
per alcuni mesi l’ultima classe delle elementari: «5 novembre (1945). È stata
ammessa oggi in classe una nuova alunna. È profuga, di nazionalità tedesca. La
scolaresca ha accolto con gentilezza la nuova compagna ed ha promesso di non
urtare i sentimenti di lei. Anche per me il compito diventa un po’ più arduo
specie per quanto riguarda la storia».
Interessanti reperti fotografici, che ritraggono bambine ebree - tra cui Johanna
Neuman a Durazzo e Tricase - arricchiscono il volume. La signora Neuman che ora
vive negli Stati Uniti, «ha espresso pubblicamente la gratitudine per le
famiglie albanesi di religione islamica che ospitarono la sua famiglia durante i
cinque anni di guerra, fino alla liberazione da parte degli americani».
Il rapporto tra ebrei e tricasini subì una lieve incrinatura nel febbraio del
1946 per questioni organizzative relative ad una partita di calcio che degenerò
anche per l’atteggiamento non favorevole di alcuni italiani che provocò la
reazione violenta dei giovani ebrei. L’episodio fu circoscritto ed in breve
tempo le relazioni con i profughi furono prontamente ristabilite. Tuttavia si
scatenò una vera e propria campagna di stampa, con interpellanze parlamentari e
con l’obiettivo di ottenere lo sgombero delle ville signorili.
Gli ebrei lasciarono il campo definitivamente agli inizi del 1947. «A Tricase -
afferma Morciano - è rimasto materialmente qualche graffito o scritte in ebraico
sui muri di qualche villino, soprattutto sono rimasti nel cuore delle tricasine
e dei tricasini che vissero quegli eventi, ricordi incancellabili ed emozioni
ancora vive, un valore immateriale ricchissimo ma delicatissimo, che va
preservato nel tempo».
www.lagazzettadelmezzogiorno.i
Post Scriptum:
Rilancio volentieri, sulle pagine web dell’Istituto Veritatis Mater, un articolo
pubblicato, il 9/1/2010, dalla “Gazzetta del Mezzogiorno” circa la presentazione
del libro del Prof. Ercole Morciano dal titolo: “Ebrei a Tricase porto
(1945-1947)”.
Nel ringraziare l’Autore per il prezioso contributo alla storiografia
contemporanea ed avendo constatato che il libro è andato subito esaurito, tanto
da essere ormai introvabile sugli scaffali delle librerie, auspico che la Casa
Editrice ed i punti di vendita libraria vogliano al più presto offrire nuove
copie del testo alle lettrici ed ai lettori interessati.
Diso in Terra d’Otranto, 13/02/2010
Raffaele Paolo Coluccia